LA STANZA DEL FIGLIO di Nanni Moretti Non ci sono mezze parole: questo è un capolavoro. Anche chi non ama Moretti deve riconoscere che siamo dieci, cento, un milione di gradini sopra la semplice "descrizione del quotidiano" di Aprile e Caro Diario. Rimane la rinuncia a ogni spettacolarismo, lo stile estremamente misurato, come la recitazione, che proprio in questo modo risulta così vera: straordinari Moretti e la Morante, ma anche molti dei comprimari tra cui Accorsi e Orlando. Il primo tempo è semplicemente perfetto, girato in maniera magistrale: dalla scena di apertura, dove il protagonista interpretato da Moretti, lo psicologo Giovanni, corre solitario davanti al porto di Ancona e la camera lo segue lateralmente riprendendolo nell'ombra del controluce. E si prosegue senza mai una sbavatura, alternando con straordinaria maestria di tempi e di modi la felice vita familiare di Giovanni con la moglie, i piccoli problemi con i figli adolescenti, e il lavoro con i suoi stralunati (ma non troppo) pazienti. Le scelte stilistiche sono sì minimaliste, ma assolutamente senza intellettualismo, anzi piene di sincera e diremmo quasi spontanea poesia. Poco prima della fine del primo tempo, il figlio minore Andrea muore in un tragico incidente e il film cambia tono, rallenta, ma non finisce di stupirci, perché tralascia ogni prevedibile scena "drammatica" (a partire dall'incidente stesso, di cui non vediamo nulla), e mette a fuoco invece sui genitori di fronte alla terribile realtà, sulla desolazione, sulla fatica dei giorni e delle settimane seguenti, sui contraccolpi psicologici nella famiglia rimasta colpita, devastata, individualmente e collettivamente, sui difficili tentativi di ricominciare, di ritrovare un senso per tutte quelle cose che di colpo l'hanno perduto. Anche la camera si muove diversamente: meno carrelli, più primi piani, più stacchi. Il ritmo si fa meno fluido, più frammentato. Questo secondo tempo, decisamente più morettiano, convince un po' meno, a tratti annoia un po', ma ha ancora qualche buona idea prima del finale, che non risolve nulla ma lascia almeno un briciolo di speranza, sulle note di una canzone di Brian Eno scelta con davvero grande intuizione. Da non perdere.